PROGRAMMA DI GOVERNO

L’istruzione è la massima forma di giustizia sociale, un patrimonio da garantire a tutti, soprattutto a chi parte da condizioni più difficili. È la prima infrastruttura di cui occuparci!

scuola
Da quando l’Italia si è unita, l’istruzione pubblica si è configurata come una delle principali modalità attraverso le quali lo Stato ha dispiegato la sua presenza nei territori. L’istruzione pubblica ha consentito all’intera comunità nazionale e alla nostra Isola di modificare profondamente la composizione della propria popolazione secondo il grado di istruzione e ciò ha determinato il raggiungimento di livelli di sviluppo e benessere mai sperimentati in passato. Tuttavia, dove siamo arrivati e, soprattutto, dove dovremmo arrivare in termini di crescita del capitale umano è uno dei punti cruciali delle strategie di sviluppo del nostro territorio.

Ancora oggi, infatti, nonostante i notevoli progressi conseguiti (specialmente nel corso degli ultimi 60 anni) la Sardegna presenta un ritardo di sviluppo educativo rispetto ai livelli medi nazionali e, specialmente, rispetto agli standard europei. Rispetto al contesto italiano ed europeo, la Sardegna sconta forti ritardi storici nei livelli di istruzione formale raggiunta dalla popolazione e, come mostrano i dati OCSE, sconta livelli di competenze mediamente basse tra la popolazione adulta. Per quanto riguarda le coorti più giovani, nonostante il forte recupero in termini di anni di istruzione, la Sardegna presenta ancora un forte ritardo rispetto agli standard dell’UE. Ancora troppo alta è la quota parte di popolazione che non è in possesso di titoli di istruzione secondaria superiore (il cosiddetto “diploma”), ancora più indietro si è per il numero dei laureati. Allo stesso tempo, sono drammaticamente alti i livelli di dispersione scolastica e, infine, i test standardizzati certificano che il livello di competenze conseguito è inferiore ai livelli medi nazionali ed europei.

Le scuole e le università sarde hanno intrapreso a partire dalla metà degli anni 2000 uno sforzo di innovazione di tipo organizzativo, culturale e professionale in cui è stato determinante il ruolo della Regione Autonoma della Sardegna. Le azioni portate avanti che hanno riguardato l’innovazione tecnologica, la formazione degli insegnanti, il sostegno alla scuola e allo sviluppo delle competenze, l’orientamento degli studenti, il sostegno alla ricerca di base, sono state numerose e il volume degli investimenti finanziari notevole.

Ciononostante, la Regione non ha saputo fino ad oggi assumere un ruolo di leadership dei processi di innovazione e non è stata in grado di mettere a sistema le molteplici azioni finanziate e tantomeno di monitorarne i risultati. Inoltre, la Regione non ha mostrato capacità di pensare in termini strategici e progettuali il sistema della formazione e dell’istruzione dell’Isola. Oggi se ne scontano, per l’ennesima volta gli effetti, in termini di ritardo di innovazione.


Il primo obiettivo programmatico è proprio costruire in capo alla Regione questa funzione di governo dei processi di riforma che riguardano complessivamente il mondo della scuola.

La Sardegna vive una condizione di crisi demografica che è destinata a influire pesantemente sia sul reclutamento scolastico che su quello universitario e in prospettiva sul ricambio della forza lavoro in tutti i settori.

Vi sono aspetti, nel sistema di istruzione sardo, che delineano la distribuzione differenziale delle opportunità formative a seconda del luogo di residenza.

Gli aspetti principali da prendere in considerazione sono:
    La presenza della scuola sul territorio (e, per la scuola primaria, i modelli di scolarità, il c.d. “tempo scolastico”).

  1. L’esistenza di un percorso scolastico completo (dalle elementari alle superiori) nel territorio di prossimità

  2. Il grado di diversificazione dell’offerta formativa secondaria superiore nelle diverse zone.

Per quanto riguarda il primo aspetto, occorre tenere conto che i due elementi principali che un governo strategico dovrebbe prendere in considerazione sono il contesto geografico, in particolare la sua morfologia e l’altitudine e lo stato di “salute demografica” delle diverse zone. Al contrario, negli ultimi 15 anni, la “razionalizzazione” legata alle politiche di contenimento della spesa, in maniera evidente non si è affatto basata sulla attenta considerazione di queste peculiarità ma solo su una pedissequa adozione di target quantitativi definiti a livello nazionale.

Per quanto riguarda la distribuzione delle scuole primarie sul territorio, l’applicazione di linee di indirizzo definite a livello nazionale ha determinato un quadro piuttosto problematico: chiudono le scuole primarie e con esse scompare in molti comuni un elemento indispensabile per favorire l’insediamento della popolazione; i pochi bambini e le poche bambine sono costretti, talvolta ad un pendolarismo precoce o alimentano le “pluriclassi”.

Quando consideriamo il tempo scolastico della scuola primaria, emerge una netta dicotomia nei modelli scolastici, con ampie aree del territorio che seguono un approccio tradizionale basato su un carico orario settimanale di 24-27 ore, mentre soltanto in alcune aree, prevalentemente nei comuni più popolosi, si adotta il modello del cosiddetto “tempo pieno”. Le scuole medie sono distribuite in modo ancora più rarefatto delle primarie, principalmente a causa di una maggiore necessità di personale docente e degli impatti più evidenti dei fattori demografici e orografici. Ciò comporta che una percentuale significativa degli studenti si trovi ad affrontare la sfida del pendolarismo precoce, spesso complicato da infrastrutture di trasporto inefficienti o insufficienti.

L’offerta formativa secondaria superiore è distribuita in modo estremamente sparso e diseguale. Gli istituti sono principalmente concentrati nei comuni di dimensioni medio-grandi, che agiscono come veri e propri poli scolastici. Centri sui quali insistono aree che, anche a causa della morfologia del territorio, possono essere estremamente vaste. Inoltre, il grado di diversificazione dell’offerta formativa nei diversi territori è molto variabile.

Questa diversificazione dipende, innanzitutto, da una sorta di “inerzia” del sistema che tende a mantenere le condizioni ereditate dal passato. Un esempio è la concentrazione dell’offerta di tipo liceale nei capoluoghi e quella tecnico professionale nelle aree periferiche e rurali. Questa condizione determina un differenziale delle opportunità formative presente nei diversi territori. In Sardegna, soprattutto in quelle aree dove è presente solo un tipo di offerta formativa. In definitiva, la sola morfologia del territorio e la sua struttura demografica non spiegano del tutto le variazioni nella “densità” scolastica delle diverse porzioni di territorio. Questa differenza dipende anche da un’applicazione rigida e non mediata dei criteri di dimensionamento delle scuole.

Il dimensionamento scolastico è e deve divenire sempre più competenza regionale, come peraltro già sancito dalla sentenza della Corte Costituzionale n.235/2010.
Di fronte a questo quadro, è evidente che esistono grandissimi spazi di miglioramento, ma per poterli sfruttare appieno è necessario che la Regione assuma pienamente su di sé la responsabilità dell’azione, eserciti pienamente i poteri disponibili e ne rivendichi di nuovi per disegnare una distribuzione delle scuole sul territorio che sia risposta simultanea alla vigenza dei diritti e all’urgenza dei bisogni. La prima risposta alla crisi della rete formativa sarda è una risposta di assunzione di responsabilità e di rivendicazione di poteri.

Il governo della Regione Sardegna non ha finora sfruttato appieno i gradi di autonomia consentiti dallo Statuto e dalle leggi nazionali. È indispensabile che la Sardegna si doti di una legge organica sull’istruzione e la formazione in grado di consentire un efficiente uso delle risorse e di implementare azioni di sviluppo che incrementino il livello e la qualità dell’istruzione pubblica e che tengano conto delle nostre peculiarità territoriali, quali il diverso grado di “salute demografica”, la distribuzione della popolazione, l’orografia del territorio, la rete dei trasporti, le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. La Regione Sardegna, attraverso un’azione organica e coordinata da un quadro normativo strategico definito da una Legge Regionale sull’Istruzione e sulla Formazione Professionale, e promuovendo anche i Patti educativi di comunità, deve perseguire i seguenti obiettivi:

● dotarsi di un sistema organico di governance che preveda l’adozione di un Piano Regionale per lo sviluppo del sistema di istruzione e di formazione nonché di un sistema di monitoraggio e valutazione autonomo;

● contrastare il diradamento scolastico adottando strategie differenziate nei contesti urbani dove si concentra la popolazione e nelle aree meno popolate; a questo si aggiunge una regolazione autonoma del dimensionamento delle autonomie scolastiche che tenga conto delle esigenze strategiche di sviluppo complessivo della Regione. In particolare, occorre considerare le direttrici di pendolarismo delimitate dai sistemi locali del lavoro, che determinano variazioni importanti nella definizione degli effettivi bacini di utenza delle scuole;

● progettare un welfare scolastico regionale volto a favorire il “tempo pieno” scolastico. Il sistema di welfare scolastico deve considerare l’esistenza di un Ente Regionale per il Diritto allo Studio, non solo universitario, che metta in azione gli idonei strumenti per favorire un’istruzione plurale e accessibile anche a livello di scuola secondaria di secondo grado. In particolare: una rete capillare di mense e impianti sportivi è indispensabile per promuovere un modello di scolarizzazione che favorisca il tempo pieno e renda più agevole implementare una rete di trasporti destinata alla scuola che consenta di superare le barriere geografiche;

● coordinare e integrare i diversi segmenti del sistema educativo (formazione e istruzione), superando l’attuale segmentazione istituzionale (oggi istruzione e formazione sono in capo a differenti Assessorati) per realizzare un governo e un’intelligenza complessiva del sistema;

● promuovere la formazione degli adulti e la sua diffusione nel territorio. Oggi la formazione degli adulti è realizzata principalmente nell’ambito dei CPIA (Centri provinciali per l’istruzione degli adulti) i quali hanno anche compiti fondamentali di coordinamento delle Reti Regionali per l’Apprendimento Permanente. A dieci anni dall’approvazione della riforma, la Sardegna non è stata ancora in grado di sostenere questo processo che può consentire di rafforzare il sistema scolastico regionale e lavorare per il recupero delle competenze degli adulti in un’ottica di promozione del capitale umano e di inclusione sociale;

● mettere l’orientamento scolastico al centro del dispositivo di istruzione e formazione. Il PNR, in applicazione delle indicazioni della Carta di Genova (2021), pone in capo alle Regioni il compito di organizzare l’informazione (attraverso la costruzione di un portale unificato di informazione e orientamento) e di coordinamento della rete delle istituzioni che agiscono nel territorio regionale;

● valorizzare gli insegnanti. Fino a oggi le azioni di formazione e aggiornamento degli insegnanti sono state condotte, anche dalla Regione, con una logica verticale e autoritaria che non riconosce le competenze esistenti nelle scuole e il fatto che queste possono costituire delle vere e proprie comunità di apprendimento. La formazione degli insegnanti deve essere dunque sostituita da una logica di sperimentazione didattica e di sviluppo professionale che metta insieme gli insegnanti, esperti e ricercatori. Le risorse finanziarie provenienti dal FSE devono dunque essere impiegate per la valorizzazione degli insegnanti nei loro percorsi di crescita professionale;

● adottare una strategia per lo sviluppo tecnologico. La Regione Sardegna è stata negli anni 2000 protagonista di un processo di innovazione tecnologica e didattica.
Questo processo si è esaurito a causa delle continue interferenze politiche e dell’assenza di lungimiranza dei governi regionali degli ultimi dieci anni. In particolare, è stata abbandonato il progetto di una piattaforma per la formazione a distanza della Regione Sardegna. Oggi le scuole e le università dipendono dal mercato delle piattaforme private. La Sardegna può mettere insieme le expertise necessarie e riprendere il cammino dell’innovazione;

● tutelare e valorizzare la Lingua sarda in tutti i contesti, e in particolare in quello scolastico, in modo da sopperire alle interruzioni della catena di trasmissione intergenerazionale di conoscenza della lingua.

La Sardegna presenta una bassa percentuale di laureati. È la pesante eredità di un passato in cui la percentuale di persone in possesso di titoli di studio di scuola secondaria di secondo grado era di molto inferiore alle medie nazionali ed europee.
In questi ultimi anni, abbiamo assistito a un radicale cambiamento che modifica gli scenari: la quota di giovani in possesso di un “diploma” è molto più numerosa rispetto al passato ma, nonostante ciò, solo uno ogni due diplomati decide di iscriversi all’università.

Le università sarde costituiscono un patrimonio collettivo e un asset strategico per costruire il futuro dell’isola. Le due università della Sardegna, con la loro secolare tradizione costituiscono le due più importanti istituzioni culturali dell’Isola. Attualmente, Cagliari e Sassari accolgono, rispettivamente, circa il 65% e il 35% degli studenti universitari. A parte questi due poli localizzati storicamente nelle due città capoluogo, si sono sviluppate, con alterne fortune, iniziative di decentramento dell’offerta formativa con poli a vocazione prevalentemente didattica presso le città di Nuoro, Oristano, Iglesias, Alghero e Olbia. La sfida globale del sistema di istruzione superiore impone di uscire dalle dinamiche di retroguardia della competizione interna e del localismo.

Occorre pensare al sistema universitario sardo in quanto sistema, in primo luogo per aumentarne il peso specifico, visibilità e attrattività a livello nazionale e internazionale. Rendere il sistema universitario sardo, e dunque la Sardegna, attrattivo sia per gli studenti sardi sia per quelli provenienti dal resto del bacino del mediterraneo, dall’Europa e dal mondo In secondo luogo, occorre costruire strategie ambiziose di formazione del capitale umano del futuro. Queste impongono di ripensare le università sarde come un sistema in grado di offrire un’offerta formativa diversificata e plurale. Occorre dunque costruire un sistema di governance regionale che renda riconoscibile l’Università della Sardegna come un sistema unitario nell’interesse della Sardegna stessa. Pur salvaguardando l’individualità e la storia degli atenei storici, occorre rafforzare la loro proiezione nel mediterraneo e nel mondo attraverso un insieme coordinato di strumenti diretti a:
  • rafforzare il diritto allo studio;
  • finanziare le infrastrutture per la didattica;
  • finanziare la ricerca di base e applicata;
  • incentivare la formazione permanente e il lifelong-learning;
  • sostenere la costruzione e il funzionamento di laboratori avanzati;
  • innovare e rafforzare le reti e le piattaforme informatiche di uso comune;
  • formare e attrarre capitale umano di elevato livello di formazione è una condizione fondamentale per lo sviluppo economico, sociale e demografico delle nostre città. Per questo occorre investire sulle opportunità di formazione di livello più avanzato (lauree magistrali e percorsi post-lauream). Per rendere maggiormente attrattiva la formazione universitaria per gli studenti provenienti dal resto del mondo, occorre incentivare l’erogazione di insegnamenti in lingua inglese ma, anche costruire una rete di accoglienza adeguata;
  • sviluppare la rete della formazione universitaria in tutta la regione, attraverso forme di coordinamento e di sviluppo strategico pluriennale;
  • sostenere e rilanciare i percorsi ITS (Istituti Tecnici Superiori) fondamentali per offrire uno sbocco di crescita agli studenti provenienti dalle filiere tecnico-professionali;
  • rafforzare il ruolo di Terza missione delle Università a favore della società sarda;
  • impegnare le Università nel ruolo di volano del trasferimento dell’innovazione verso le imprese.

Strettamente legato allo sviluppo dell’istruzione terziaria è il servizio erogato dalle università sarde in ambito sanitario. Soprattutto in questo campo dovrà essere superato il dualismo tra i due Atenei e avviare, col concerto della Regione una forte azione sinergica al servizio dell’intera regione.

Particolare attenzione dovrà essere posto sull’Orientamento universitario che dovrà essere centrato sempre più sullo sviluppo, sulle reali prospettive occupazionali, per la valorizzazione e l’inclusione di ogni cittadino sardo. Oggi l’orientamento agli studi universitari è spesso caratterizzato da attività di promozione dei percorsi universitari che hanno a che fare più col marketing che con la formazione della persona. La Regione dovrà dunque farsi promotrice di azioni di raccordo tra scuola e università, dando le risorse organizzative e finanziarie per rendere strutturale una rete di collaborazioni inter-istituzionali.

L’orientamento deve essere concepito per favorire il superamento di ogni forma di segregazione di classe sociale e di genere nella scelta della scuola e degli studi universitari.
La Regione inoltre istituirà un portale dell’orientamento gestito da uno staff che dovrà informare e guidare gli studenti nella scelta dalla scuola al lavoro, prefigurando gli sbocchi lavorativi e i possibili sviluppi (secondo le linee indicate anche dal PNRR).

Il welfare universitario deve essere un sistema di sostegno integrale dello studente e della studentessa e si integra con il welfare scolastico di cui abbiamo già parlato.

Coerentemente, con il nostro progetto di costruzione di una rete regionale della formazione terziaria occorre che i dispositivi del diritto allo studio (in primo luogo mense e residenze) siano studiati nel quadro di una programmazione pluriennale di investimenti. Occorre inoltre coinvolgere gli atenei nell’organizzazione e la promozione di servizi di welfare per gli studenti. Offrire strutture di accoglienza degli studenti moderne, funzionali e accoglienti.
Sburocratizzare il diritto allo studio, rendendolo più universale. Favorire lo sviluppo di iniziative da parte di cooperative e associazioni studentesche e di soggetti pubblici e privati al fine di allargare l’offerta di servizi (ristorazione, tempo libero) al pubblico di tutti coloro che a qualunque titolo operano nell’università.
La cultura assolve a una funzione insostituibile: è per ciascuno introduzione alla realtà e alla conoscenza di sé. Essa assume, alle diverse latitudini, forme e linguaggi differenti che rappresentano una ricchezza da acquisire, conservare e innovare.
La cultura sarda non è dunque solo l’esperienza culturale tradizionale, il sapere trasmesso attraverso i secoli in forme peculiari dell’isola, ma l’insieme dei contenuti, delle forme, dei simboli, delle conoscenze e delle pratiche oggi presenti e attivi come risposta ai problemi di gestione e di senso della realtà.

La cultura è la connessione inscindibile tra lavoro, ricerca, sapere e arte: è l’universo di senso della società.
Assumere questa visione unitaria, significa decidere di dotarsi di strumenti legislativi conseguenti. Serve una legge quadro sul sistema culturale della Sardegna.
La politica dello spettacolo, per esempio, non può essere solo la politica di un calendario di eventi più o meno partecipati.

La legge sul cinema ha quasi due decenni di vita: necessita di verifiche e può essere un buon modello per le altre forme della cultura. Serve comunque stabilità nell’uscita dei bandi, servono meno criteri discrezionali, servono norme per le opere prime. Serve dichiarare conclusa la politica della legislatura appena terminata: dal 2021 tra omnibus, finanziare e collegati, svariati milioni di euro sono stati erogati tramite finanziamenti ad hoc stabiliti dal legislatore regionale al di fuori delle leggi di settore. Parliamo di centinaia e centinaia di interventi, una pratica ignobile, tanto che non si è scritta una norma, ma si sono approvate tabelle con nome del beneficiario, titolo del progetto e somma stanziata. Molto meglio aggiornare le leggi di settore e ampliarne lo spettro di applicazione, semplificarne l’applicazione, rendere trasparente e verificabile l’utilizzo.

La politica per le tradizioni popolari, che ha come destinatari gruppi folk, cori, bande e associazioni culturali, non può essere banalmente un piano di spesa annuale e/o pluriennale: serve una governance che faccia dialogare questa dispersa rete di esperienze educative e culturali con i Conservatori, con i Licei musicali, con il sistema istituzionale latamente inteso.
Le politiche per la Lingua sarda devono partecipare alle politiche culturali adottate dalla Regione, superando gli indirizzi programmatici che la relegano a una sua settorializzazione, affinché venga percepita e utilizzata come elemento trasversale che può e deve entrare in ogni settore della vita sociale e culturale sarda, accelerando il processo per un suo utilizzo normale. Cinema, spettacolo, editoria, folklore devono stare dentro una politica di promozione unitaria, devono avere certezza di risorse e di metodi di accesso.

La scuola e l’università devono dialogare in forma attiva con registi, scrittori, attori, artisti e musicisti, dentro un circuito libero. Non c’è cultura senza competenze; non ci sono competenze utili senza consapevolezza del proprio specifico. Assumere la Sardegna intera come sistema culturale è l’obiettivo strategico che si connette con quello generale di attrazione alla residenza e di promozione della vigenza dei diritti di cittadinanza in tutti i territori dell’isola.
La Sardegna, nonostante disponga di uno dei più imponenti giacimenti di monumenti archeologici e di beni culturali in senso lato, non ha su di essi i poteri necessari a gestirli, che sono invece rimasti in capo allo Stato, cioè al Ministero dei beni culturali e alle sue articolazioni territoriali (le Soprintendenze).
Valga, come confronto, ricordare che la Regione Sicilia ha «competenza esclusiva in materia di conservazione delle antichità e delle opere artistiche». La Regione Sarda no: ha solo il potere (art. 5 dello Statuto) di «adattare alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme di integrazione ed attuazione (…) in materia di (…) antichità e belle arti». Deve partire da questa consapevolezza una nuova stagione di politica dei beni culturali: occorre rivendicare nuovi poteri, vuoi nella forma della riforma dello Statuto, vuoi attraverso le norme di attuazione di quello vigente. Senza un quadro normativo più ambizioso dell’attuale, le politiche dei beni culturali possono essere solo ottriate, frutto di un negoziato sbilanciato e impossibilitate a ogni sforzo di pianificazione e di programmazione.
Senza questa premessa sulla necessità dell’adeguamento degli strumenti legislativi è difficile pianificare politiche attive di valorizzazione del nostro peculiare patrimonio culturale. I coraggiosi tentativi di promuovere e valorizzare monumenti archeologici come le Domus de Janas (neolitico) o l’immenso patrimonio rappresentato dalla cultura nuragica, compreso il poco esplorato giacimento di Mont’e Prama, costretti in estenuanti trattative con organi statali spesso distratti o disinteressati, rischiano di rimanere velleitari e, alle volte, sconfinare in avvilente folklore.
È necessario creare gli strumenti di base per una gestione attiva di questo patrimonio unico, attraverso la formazione e la valorizzazione di competenze locali staccate da logiche “ministerocentriche”: attraverso lo sviluppo di sinergie tra Regione e Università, con modesti investimenti, si può arrivare a fondare una Scuola superiore di archeologia della Sardegna, per formare i quadri necessari a garantire un utilizzo concreto e adeguato dei nuovi poteri regionali sui beni archeologici e culturali.
La lingua sarda, se pur in sofferenza, è ancora utilizzata da buona parte della popolazione, sebbene resti comunque per certi versi nascosta; questa assenza di visibilità ne pregiudica la trasmissione intergenerazionale, il suo prestigio e gli stimoli ad utilizzarla nei diversi contesti.

È quindi necessario creare un sistema intersettoriale di azioni che favorisca le condizioni per un miglioramento generale della competenza linguistica, un aumento del suo prestigio e un maggiore sviluppo dell’uso sociale ed interpersonale.
Dalla creazione di una rete scolastica che possa condividere progetti, materiali ed esperienze, alla presenza nei mass media con programmazioni e format che attirino anche le nuove generazioni, dalla toponomastica alle espressioni musicali ed artistiche, dalla creazione di nuove professionalità, all’utilizzo di quelle già esistenti per reindirizzarle verso il rafforzamento della presenza della lingua isolana, dalla conoscenza del patrimonio linguistico alla sua fruizione con le nuove tecnologie. Tutte azioni coordinate e interagenti che rendano la lingua isolana un mezzo diffuso di comunicazione portandola da quella condizione di “bassa percezione” (in diversi sensi) a quella di “rumore di fondo” che garantisca una trasmissione intergenerazionale diretta e indiretta.

All’interno del mondo della scuola, la Regione deve esercitare effettivamente il ruolo di coordinamento dei compiti attribuiti alle Autonomie scolastiche in materia di uso delle lingue di minoranza affidatole dalle norme di attuazione dello Statuto sardo, in modo da proseguire con forza il cammino tracciato dalla Legge regionale 22/2018, aumentando il numero di scuole in cui si parla e si insegna la lingua sarda, creando un sistema stabile di formazione dei docenti nella didattica del sardo, e creando una rete di docenti qualificati che possa condividere materiali, esperienze e buone prassi.
Close Search Window