PROGRAMMA DI GOVERNO

Per una seconda stagione dell’autonomia regionale sarda, con nuovi poteri per autodeterminarci nel contesto italiano ed europeo. Dobbiamo poter decidere su fisco, trasporti, energia, istruzione!

autonomia
Una coalizione che aspiri al governo della Sardegna, non limitandosi alla gestione dell’ordinario, deve avere una visione strategica del futuro della nostra comunità nel contesto europeo e mediterraneo e, di conseguenza, deve elaborare, prima di ogni altra cosa, un’idea chiara e un disegno compiuto di riforma e adeguamento dei rapporti tra gli organi della Regione (Consiglio, Giunta e Presidente) delle loro funzioni e dei loro rapporti reciproci.

È tempo che il prossimo Consiglio Regionale, eventualmente con il contributo di una “Consulta Statutaria” rappresentativa dei diversi enti e organizzazioni della società sarda, approvi l’aggiornamento dello Statuto e lo trasmetta alle Camere per la sua approvazione. Un nuovo Statuto per una seconda stagione della nostra autonomia regionale, che faccia propri i grandi cambiamenti dell’economia e della società dal 1948 ad oggi, e contenga, conseguentemente, i nuovi poteri necessari per un effettivo autogoverno e autodeterminazione della Sardegna, nel contesto statale ed europeo.

La riforma del sistema istituzionale, comunque necessaria e ineludibile, è resa ancora più urgente dalla proposta dell’attuazione del regionalismo differenziato proposto dal Governo Meloni, il primo febbraio 2023, con il c.d. disegno di legge “Calderoli”, che
apre scenari fortemente preoccupanti per la stessa autonomia speciale della Sardegna. Non è pensabile presentarsi a un confronto con il Governo nazionale, che spinge per una riforma così palesemente sbilanciata verso le realtà forti a scapito della solidarietà
tra regioni, senza avere approntato un adeguato strumento di Governo regionale che consenta di esercitare pienamente i poteri dell’Autonomia con la necessaria forza e autorevolezza. Deve essere individuata e condivisa la forma di governo che si ritiene più confacente per rispondere alle istanze di una società in transizione verso forme di lavoro, di organizzazione sociale, culturale, economiche, nuove e potenzialmente di grande prospettiva, ma che abbisognano di “strumenti” di governo adeguati.

È indispensabile rivisitare profondamente l’approccio politico e culturale verso l’istituto delle norme di attuazione che, previste nello Statuto come strumento principale della regolazione dei rapporti tra Stato e Regione, sono rimaste, salvo lodevoli eccezioni, ai margini della concreta pratica autonomista. Per comprendere in modo pratico la miopia trasversale che ha caratterizzato l’azione politica regionale in questi 75 anni di vigenza dello Statuto, basta confrontare la produzione legislativa in materia di attuazione degli Statuti, tra Sardegna (30 norme in 75 anni) e il Friuli-Venezia Giulia (52 in 60 anni), differenza che diventa più evidente considerando gli ultimi 20 anni: 6 norme di attuazione la Sardegna, contro le 20 del Friuli. Questo ultimo dato assume una specifica valenza politica, perché 5 delle 6 norme di attuazione sono state elaborate e approvate dai governi regionali di Centrosinistra.

È di tutta evidenza che bisogna superare l’idea, fino a oggi prevalente nella politica regionale, che i problemi strutturali della Sardegna si superano grazie alle concessioni dei “Governi amici” o grazie ai rapporti politici con la maggioranza del momento: è un atteggiamento culturalmente succube e istituzionalmente miope che non ha prodotto benefici reali e duraturi alla Sardegna.
Ci si deve riappropriare dello strumento, rappresentato dalla Commissione paritetica, dandole una forte valenza politica: ad essa deve partecipare in prima persona il Presidente della Regione o un suo delegato con rappresentanza politica (Assessore ai Rapporti istituzionali) e un componente eletto in seno al Consiglio Regionale (meglio se Presidente della Prima Commissione permanente). A fronte di una così qualificata rappresentanza, lo Stato si troverebbe costretto a proporre componenti di altrettanta levatura: questo consentirebbe di affrontare, su un tavolo paritetico e costituzionalmente rafforzato, i nodi sostanziali della ripartizione dei poteri tra la Sardegna e lo Stato italiano.

In questo ambito, rapporti Regione-Stato, trova la sua naturale collocazione la storica vertenza sulle servitù militari e il loro gravame su larghe parti del territorio della Sardegna. Ancora una volta, dopo il forte impulso dato dalle Giunte Soru, prima, e Pigliaru, poi, deve essere ripreso il confronto, tra pari, con lo Stato e i vertici militari per riequilibrare un onere che oggi ricade quasi interamente sulla Sardegna e sui sardi. I silenzi e le omissioni delle Giunte di Centrodestra, spesso impegnate a partecipare ossequiosamente a qualunque parata militare e invece colpevolmente assenti dai tavoli di confronto, devono essere sostituiti da una linea politica chiara: riduzione delle servitù, bonifiche subito sotto la supervisione della Regione e indennizzi adeguati, nella quantificazione e nella tempistica. Oggi più di ieri, queste servitù, rappresentano l’emblema di un rapporto squilibrato tra Stato e Regione che, nella stagione della seconda Autonomia, non è più accettabile e sul quale l’azione del Governo regionale sarà coerente e determinato, coinvolgendo in questo tutta la società sarda, senza escludere la possibilità di un referendum consultivo su questa emergenza dei rapporti tra lo Stato e la Regione.

E sempre nel quadro dei rapporti Stato-Regione va collocato il tema Il principio della cosiddetta “territorialità della pena”, sancito nel 1975 con la legge 354/75 e ribadito in seguito nel protocollo d’intesa con la RAS firmato il 7 febbraio del 2006, in attuazione del principio generale di territorializzazione delle pene Viceversa si constata una palese violazione dei diritti dei cittadini residenti in Sardegna, detenuti in carceri fuori dall’Isola. Essi si trovano infatti a dover subire un maggiore disagio di carattere logistico, psicologico ad anche economico, non potendo contare, come è evidente e comprensibile, sui periodici contatti e le visite da parte dei familiari e delle persone care, soprattutto quando si tratta di bambini e persone anziane, previste dai regolamenti penitenziari. L’applicazione delle leggi in questione e del protocollo d’Intesa Stato Regione per tutti i detenuti (inclusi quelli che sono ancora in attesa di giudizio o sottoposti a misure di detenzione preventiva) garantirebbe ad essi il diritto di essere destinati in istituti penitenziari prossimi alla residenza delle loro famiglie. Crediamo che questa sia una battaglia di civiltà e di giustizia per tutti i cittadini detenuti e per le famiglie, che attende solo di vedere applicate norme già vigenti e accordi già sanciti tra il ministero e la Regione.
Per accelerare questo processo, si deve ripartire dalla legge Statutaria della Regione Sardegna del 10 luglio 2008, n. 1, ponendola in discussione per aggiornarvi e adeguarla alle mutate esigenze dell’oggi, mantenendo il quadro organizzativo che superi l’attuale modello “rigido” di assessorati, già definiti nel numero e nelle competenze, sul modello statale-ministeriale degli anni ’70.

Oggi è necessario proporre una forma di governo regionale piùfflessibile, dove possano convivere strutture permanenti, per lo svolgimento di funzioni fondamentali per la vita dei cittadini (tutela della salute, tutela della sicurezza delle persone – protezione civile; istruzione, beni culturali; tutela dell’ambiente; tutela del paesaggio; tutela dei beni paesaggistici; bilancio; gestione delle risorse umane, gestione patrimoniale), con strutture più flessibili, in grado di essere organizzate e fortemente orientate al raggiungimento degli obiettivi strategici di programma. Questo può avvenire attraverso deleghe specifiche che il Presidente attribuisce a singoli “assessori” con specifici mandati di legislatura e che necessitano di competenze trasversali per la loro attuazione. In questo contesto, deve essere ribadita la centralità di una figura politica quale quella dell’Assessore ai Rapporti istituzionali, che, con espressa delega, sia di raccordo tra il Consiglio Regionale e il Governo Regionale per l’attuazione del Programma di legislatura e che, in affiancamento al Presidente o su delega, rappresenti la Regione nei rapporti con lo Stato italiano e con l’Unione Europea.

A questa tipologia di assessori devono essere affidate strutture organizzative aggregate sulla base degli obiettivi programmatici di legislatura (ad esempio politiche della mobilità interna ed esterna, politiche di sviluppo rurale e agricolo, etc) alle quali saranno anche destinate le risorse provenienti dai diversi strumenti finanziari europei, nazionali e regionali.

In questo disegno complessivo, proprio la Presidenza, intesa come struttura organizzativa, deve perdere ogni residuo di competenza gestionale a favore dell’esercizio pieno di funzioni di indirizzo, coordinamento e alta amministrazione. La nuova Statutaria deve contenere, rafforzando, il principio dell’equilibrio del Bilancio regionale che dovrà essere declinato attraverso l’obbligatorietà della garanzia della copertura fnanziaria delle leggi, ma introducendo anche quello della valutazione dell’impatto finanziario, economico e sociale delle politiche sviluppate nel corso della legislatura. Quest’ultimo principio, che dovrà trovare attuazione attraverso una norma regionale specifica, rappresenta un sostanziale passo in avanti sia nel potere di controllo che il Consiglio può esercitare sull’attività del Governo regionale, sia quale strumento di trasparenza nei confronti dei cittadini che potranno valutare, su risultati oggettivi, la validità delle politiche di legislatura.

Si tratta di mettere a punto uno strumento, prima legislativo e poi operativo che, con cadenza pluriennale, riporti all’Assemblea legislativa e quindi ai cittadini tutti, quale sia stato l’impatto sociale ed economico di ogni euro speso attraverso il bilancio regionale: un impegno oneroso, ma necessario per garantire l’effettiva trasparenza nella gestione dei soldi dei cittadini. La stessa legge Statutaria dovrà normare, secondo i principi della trasparenza, le cause di ineleggibilità e incompatibilità per coloro che ricoprono cariche istituzionali, per restituire l’indispensabile fiducia dei cittadini nei loro rappresentanti. In questo ambito deve essere posta al centro dell’attività del Consiglio Regionale la stesura di una legge elettorale realmente capace di restituire la possibilità di rappresentanza istituzionale, al di fuori degli schematismi polarizzati che hanno caratterizzato l’ultimo ventennio, a tutte le forme politiche organizzate che rappresentano il corpo sociale della Sardegna. Dovranno anche essere adeguati gli istituti referendari regionali, per renderli effettivamente percorribili ed efficaci, allargando la possibilità di partecipazione di tutti i cittadini sardi, anche attraverso l’istituzionalizzazione dei “pubblici dibattiti” da attivare nelle comunità interessate da interventi impattanti o comunque significativi per quei territori.

Data la valenza sociale, culturale ed economica che rappresentano i sardi residenti al di fuori della Sardegna, si dovrà definire, attraverso un accordo con lo Stato, una legge che garantisca il diritto di voto a questi nostri conterranei, per garantire loro una reale partecipazione alle scelte fondamentali della comunità sarda.
Sempre nell’ambito della nuova Statutaria, deve essere rivisto e potenziato il ruolo del Consiglio delle autonomie locali, per rendere effcace l’attivazione di un vero federalismo interno per avvicinare il procedimento legislativo alle realtà locali. Passa per questo percorso la trasformazione delle politiche per le zone interne da strategie per lo sviluppo a strategie per la piena cittadinanza. A questo primo, sostanziale tassello, si deve accompagnare, senza soluzione di continuità, una completa revisione della suddivisione delle competenze tra le diverse articolazioni istituzionali del territorio: le attività di gestione devono, per quanto possibile, essere svolte in prossimità del cittadino utente.

Autorizzazioni non complesse, concessioni, erogazioni di contributi regionali, aiuti per calamità, solo per fare esempi concreti devono e possono essere gestite localmente. Al livello regionale debbono permanere le attività legate alla gestione di risorse comunitarie o nazionali non delegabili, le pianificazioni strategiche (paesaggistica, energetica, di tutela idrogeologica, idrica, etc), la pianificazione e realizzazione di opere infrastrutturali d’interesse regionale, la gestione dei vincoli ambientali (VAS; VIA) e paesaggistici (almeno per gli interventi di rilievo regionale o comunque impattanti).
In sostanza si tratta di dare attuazione, attraverso meccanismi di adeguata differenziazione di competenze, a un vero federalismo intraregionale.

Perché questo obiettivo non rimanga sulla carta, deve essere preceduto e accompagnato da un impegno vincolante a dare attuazione a quanto previsto al comma 2 ter dell’art. 1 della L.R. n.31/1998 (inserito con la legge n.24/2014): «Il Sistema Regione e le amministrazioni locali, costituiscono il Sistema della Pubblica Amministrazione della Sardegna, articolato in Sistema regionale centrale e Sistema dell’amministrazione territoriale e locale». Per rendere attuabile questa affermazione di autonomia della PA è necessario investire risorse, anche ingenti, per equiparare i contratti di lavoro del Sistema regione con quelli del Sistema degli EE.LL., nella sostanza, fare il contrario di quanto fatto soprattutto negli ultimi cinque anni.

Bisogna potenziare la presenza di uffici territoriali regionali, per lo svolgimento delle funzioni centrali e incentivare un ragionato deflusso dal centro al territorio, secondo il principio che, al passaggio di competenze, devono seguire le risorse finanziarie e umane necessarie a esercitare. Sarebbe essenziale promuovere, così come in altre realtà regionali dotate di forte autonomia, una Scuola della P.A. regionale, pensata insieme alle Università sarde e da loro gestita, dove possano formarsi i quadri e i dirigenti che opereranno nell’Amministrazione centrale o in quella territoriale e locale, in modo da acquisire linguaggi e modalità operative uniformi, a tutto vantaggio della collettività sarda. A questo dovrebbe, per logica e lungimiranza, seguire un’unica forma di reclutamento per tutti i diversi livelli istituzionali regionali. Gli odierni strumenti di comunicazione e scambio dati, supportati da una già avanzata digitalizzazione dei procedimenti, consentono una forte delocalizzazione dei processi di lavoro, soprattutto nella P.A., togliendo qualunque alibi al rinvio di questo processo di federalismo interno, quale indispensabile contributo alla coesione territoriale. Tutto questo deve essere preceduto da una rivalutazione del personale che oggi opera nel Sistema regione, procedendo con la riclassificazione delle figure professionali (quelle attuali sono obsolete) e con la conseguente apertura della contrattazione collettiva sulla parte normativa, per mettere in sintonia la nuova struttura organizzativa con coloro che vi devono operare.

Infine, bisogna arrivare (non è importante il quando, ma che avvenga) alla sottoscrizione di un patto di integrità tra l’autorità politica e struttura amministrativa, nel quale sia scritto, “sulla pietra”, il reciproco impegno a operare, nella distinzione (non separazione) dei ruoli, nel rispetto dell’imparzialità e terzietà dell’azione amministrativa e per il buon andamento della pubblica amministrazione nell’esclusivo interesse di tutti i cittadini della Sardegna. Non sarebbe solo un atto formale o un impegno, in fondo, pleonastico: sarebbe un gesto forte, quasi rivoluzionario.

Nel dibattito politico degli ultimi vent’anni è risultato sempre più chiaro che le politiche del prelievo fiscale e della sua distribuzione sono indispensabili per disegnare uno sviluppo diffuso e equilibrato. Questi poteri sono rimasti saldamente di tipo statale.
La vicenda aperta dalla proposta di legge di federalismo fiscale del ministro Calderoli, di fatto riapre il tema del rapporto tra poteri regionali e nazionali rispetto ai contenuti strategici della ricchezza prodotta, del prelievo e della distribuzione del gettito fiscale. Occorre partecipare attivamente e attentamente a questo processo, per cogliere tutte le opportunità di possibile ampliamento dei poteri della Sardegna in materia di applicazione e esenzione dei tributi. Si tratta di acquisire una porzione rilevante dei poteri necessari alle politiche di sviluppo.
Allo stesso modo, i tragici effetti patiti, nella legislatura appena trascorsa, per la debolezza politica della Regione Sarda nel settore dei trasporti, ha evidenziato come i mercati insulari risultino duramente penalizzati dalla mancanza di poteri di regolazione specifici che li proteggano dagli inevitabili periodi di fallimento di mercato. La derubricazione del diritto dei Sardi alla mobilità a un servizio calmierato e riservato ai soli residenti nel periodo di fallimento del mercato, si colloca proprio nel quadro della debolezza istituzionale che l’attuale quadro normativo attribuisce alla Regione nelle politiche dei trasporti. Occorre strappare maggiori poteri di regolazione, per evitare di essere relegati al rango di chi, non concorrendo a definire, deve acconciarsi a rendere il più possibile vantaggiose delle regole che lo riguardano, ma fissate senza il suo concorso. Ma occorre anche comprendere che fino ad oggi lo scontro è stato tra la Regione che esige voli frequenti e tariffe vincolate anche per chi non risiede in Sardegna e l’UE, cioè le strutture amministrative dell’UE che affermano che ciò sarebbe impossibile a legislazione vigente.
In realtà, chi può sancire la corretta interpretazione delle norme è solo la Corte di Giustizia Europea ed occorre avere il coraggio di portare il conflitto in quella sede. Per l’ennesima volta, un problema di diritti si traduce in un problema di poteri in una strategia negoziale che deve poter contemplare anche lo scontro dinanzi ai poteri dirimenti rispetto al conflitto delle interpretazioni.

In questo senso, deve essere assolutamente rivisto anche il ruolo della Regione Sardegna nel mercato dell’energia. È essenziale rivendicare la necessità di poteri di regolazione propri, fondati sulla specificità di un territorio di produzione e di distribuzione insulare, con specifiche caratteristiche e potenziali distorsioni. La Sardegna deve poter concorrere a disciplinare l’uso delle fonti di energia del suo territorio, l’acqua, il vento e il sole.

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